Raccolta dei documenti della ristrutturazione

Il blog per raccogliere la storia della ristrutturazione della "Cà d'la Lunga" a Corteranzo, con foto, idee e documenti utili per chiarire cosa vogliamo realizzare.

lunedì 27 maggio 2013

Tanti auguri nonna Nena!

La Nena non è come i grillini e ieri non ci ha deluso, passando il traguardo dei 74 in scioltezza! Che fenomeno: tanti auguri da tuo figlio!
 Ecco Elena ritratta con la nipote preferita Elisa.
Ed ecco il duo dei nipoti FrancoEmilio in un ritratto di grande cifra stilistica. Il quesito è: chi dei due è mezzo svedese?
I medesimi con le rispettive madri che si sono rifiutate di prenderli in braccio!
Secondo ritratto di zia e nipote in grande forma.
 Ed ecco finalmente il trio dei tre fradéi Carena.
Che fotogenici!

 Ed ecco la Ceciona bella, comparabile solo ad una rosa.

E infine una scena nella casa di Elisa con l'arrivo della torta: Michelone Oberdan sullo sfondo e il sottoscritto che fa l'unica cosa utile: versare il vino.

sabato 25 maggio 2013

Monferrato experience


Ecco un nuovo sito che propone un Monferrato turistico: questa volta aggressivo e giovane ... fa pensare al Monferrato come un paradiso dello sport.
Ma con foto di mountain bike sulle Dolomiti. Ma con rumorosi e dannosi (per i sentieri) quad. Ma con giochi basati sulle militaresche paintball.

Inoltre propone l'idea di fare "formazione di team building" per aziende. Una proposta innovativa e  straordinaria! Comunque è vero, anche il turismo aziendale potrebbe essere una opportunità, specialmente verso Casale. Ma non chiamiamo team building formazione. Diciamo "una giornata di divertito cazzeggio con i colleghi". Ma tant'è, la formazione è comprata un tanto al kilo, quindi non formalizziamoci.

Eccellente la proposta del sito relativa al benessere, che fa riferimento all'agriturismo alle Cave di Moleto e al bel resort Cà San Sebastiano. Moleto è un villaggio incontaminato dalla modernità, rimasto fermo al 1700.

In ogni caso, proviamoci e tanti auguri, tanto il 2015 è solo tra un anno e mezzo e non abbiamo ancora combinato nulla.


Faticoso sabato ...

(Zama non rompere...)
Ma chi ha tagliato l'erba bagnata e allettata attorno al giardinetto con la falce?
Chi ha pulito tutto il giardinetto dalle erbacce cresciute a dismisura?
Almeno ci ho provato!
Nonostante lo splendore del filadelfo, questo è il maggio più freddo dalla fine del 1700... la casa lo avrà ben riconosciuto: infatti era calda e per niente umida, mantenendo fede alla sua salubrità. Chiuso il riscaldamento definitivamente (era già al minimo) e passato alla funzione estiva ho scoperto che per 20 gg il nostro sciacquone ha scaricato acqua: chissà la bolletta! Ma soprattutto chissà chi l'ha lasciato aperto! Un pensiero riconoscente ed affettuoso.
La rosellina della bisnonna sta crescendo vigorosa ed è già piena di boccioli.
Le rose della facciata sono piene di fiori, ma penso che la prima fioritura si sia esaurita. La cosa bella è che sono sanissime e totalmente prive di afidi e di oidio (trattamenti assai efficaci!). Oggi Gabriele Calvo mi ha spiegato che è possibile trattarle con senape (!) e olio vegetale con ottimi successi contro le crittogame: sono entusiasta e penso che dovrò fare altrettanto. Il Delinat Institut fur oekologie lo ha pubblicato quest'anno: http://www.dc.delinat-institut.org/merkblaetter/pflanzenschutz/2013/italienisch/oidio2013.pdf
Infine, gli ultimi acquisti in saldo di Ale (il gallo e il cesto per la legna) si integrano benissimo nell'ambiente di casa. Che bello.

Certo che - venendo via - mi si è stretto il cuore, neanche lasciassi la casa per una vita. Ancora una settimana e saremo già qui!!!


lunedì 13 maggio 2013

9. La Cà d'la Lunga

Finalmente, all’altezza della croce “dei due cavalieri”, il medico, dopo essersi voltato rapidamente verso la donna, per verificare che fosse lontana, ruppe il silenzio, ma con voce bassa: “Ma la sàra pas 'na Masca?”.
La croce com'è oggi
“Chi? La Lunga?” Per il disappunto il vassallo squadrò il medico, a sua volta sorpreso da quel nomignolo famigliare. Allora il conte sorrise della sua ingenuità.
“Orsù Dottore!” a voce bassa quasi scongiurò il Conte “Non dica di queste cose, al giorno d’oggi! Sono appena scomparsi i segni dei roghi delle streghe del secolo scorso e lei le vuole fare ritornare? Siamo nell’era della ragione! Dot-to-re!”
Di masche, o streghe, si è parlato a lungo a Corteranzo.
“Ma Signor mio, quello che ha detto è sorprendente! L’esattezza delle sue indicazioni era im-pres-sio-nante!” scandì il De Polis. “Sono le cose che dice il Donzelli nel suo "Teatro Farmaceutico Dogmatico e Spagirico"; il Durante, farmacognosta, nel suo "Erbario Nuovo".  Anche la recente "Lista Rerum Petendarum" della città di Roma e il Lancisi, archiatra… come può una misera contadina conoscere i misteri della medicina e della farmacopea più illustre …”

“Su, su, avanti mio caro Dottore, si rassegni. Per la fortuna della povera gente esistono ancora di queste donne che conoscono le proprietà delle erbe. Per questo l’ho portata qui, ma non immaginavo che fosse così corretta nelle sue indicazioni”.
“Eccellenza, quella non sa, potrebbe somministrale erbe pericolose, che la potrebbero condizionare, come lo Stramonio, o peggio, perniciose per la sua salute, non si fidi …” perorò la sua causa il De Polis.
“Basta, Monsù De Polis. Non mi esasperi con i suoi timori… l’ho chiamata io e non mai assunto nulla dei decotti di Fina, perché mai - fino ad ora - mi aveva portato nulla del suo erborizzare. Se Serafina è così brava, la sfrutti, si faccia raccogliere da lei la materia per preparare i medicamenti. La nostra gente si è curata così per secoli e non si può essere sbagliata” sbuffò il Conte, annoiato dai timori dello Siensià che si era scelto.
La rassicurazione e la contemporanea sua irritazione frenarono la lingua del timoroso Medico.
“E’ un’ottima idea, eccellenza. La ringrazio della offerta. La donna mi sarà di grande aiuto per raccogliere, essiccare e … ”.
Pfff… essiccare: Monsù, l'haj vist 'ntè qu’a la stà quela poeuvra dòna cun al sò fije?” il passaggio al dialetto segnava un passaggio d’umore. E il medico tacque.
Passando sotto l’arco della mura, si voltarono un’ultima volta per guardare da lontano la cappellina quasi giunta al colmo. “Speriamo che prima dei temporali di Agosto sia finita” commentò soddisfatto il Conte guardando la meraviglia del paesaggio del suo contado e il suo popolo adoperarsi attorno alla fabbrica e nelle campagne: genere umano.
L’uomo, che con piccoli gesti quotidiani ripetuti consapevolmente e con pazienza, concentrati verso un fine, continuamente migliorati, avevano modellato quelle colline, con le vigne secche a disegnare bande di verde e di ocra. Girasoli gialli. Verde scuro medica. Verde chiaro meliga e il mare viola del lino, laggiù alla sua sinistra. Tutto suo. Ancora una volta, si commosse al pensiero che ce l’aveva quasi fatta. “... Ma quanto sarebbe durata? Chissà, un futuro, un futuro senza guerra, senza malattia, senza fame. La povera gente che lavora e che riesce a campare del suo. Dio, dammi la forza di cambiare le cose, fammi contribuire alla bellezza del tuo creato, illuminami”.
Il Dottore interruppe la sua preghiera “Certo che, con la fornace dei mattoni attiva… si potrebbe ampliare il paese … Guardi il viottolo e immagini: a sinistra una fila di cascine per i vignaioli, con finestre ad est e ovest,illuminate tutto il giorno, con le cantine. A destra una mura per mettere in piano la sella. Le case e le stalle per il bestiame, per traverso, per fare circolare l’aria, e con facciata a sud, calde anche d’inverno”. Il Conte non contenne l’ammirazione per quella idea.
“Ha ragione Monsù … potremmo costruire … 1, 2, 3” con la mano traguardò la collina in moduli da circa 12 metri, da buon agrimensore “… cascine solide, asciutte, sane, appoggiate sul tufo, fino al Rivasso” Si fermò. “Ci potrebbero vivere 12 famiglie, non meno di 50 lavoranti, 8 coppie di buoi, potremmo dissodare e coltivare fino a Cortiglione e a Sant’Antonio”. Ristette, con il pugno sul mento e sorrise.
“E l’ultima sarebbe la più bella delle Cascine, davanti alla cappellina” Suggerì il medico.
 “Si. E la Lunga an's la meritreja!"

domenica 12 maggio 2013

8. Il Borgo

Allegria!
Contadini e buoi, muratori, cavalli e cavallanti si affollavano sul tratturo, scappellandosi e inchinandosi davanti al loro signore, se non amatissimo per il suo brutto carattere, rispettato e oggetto di molte speranze per il benessere del villaggio. Tutto il loro orizzonte di vita.

Un orizzonte apparentemente angusto, un paesino, un piccolo agglomerato di case insignificante, posto sopra un vallo della Val Cerrina. Il Dizionario corografico deli Stati Sardi lo avrebbe descritto così “Corteranzo, comune del mandamento di Montiglio da cui dista un’ora e mezzo, popolazione 227. Sta sulla vetta di un alto colle, alla sinistra dello Stura, il territorio produce cereali e uve abbondanti. Questa terra e il suo castello fecero parte dell’antico contado di Vercelli”. Un secolo dopo la costruzione di San Luigi, il Casalis avrebbe scritto: “Sta sulla vetta di un alto colle in distanza di sedici miglia a ponente da Casale tra il Po e lo Stura orientale ed alla sinistra di quest’ultimo fiume. Le vie che scorgono all’elevato colle, sulla cui cima sorge questo paese, e quelle che di qua mettono ad Odalengo grande ad Odalengo piccolo, e ad altri circonvicini villaggi, sono praticate con qualche difficoltà nell’invernale stagione. Il territorio produce in discreta quantità fromento, granturco, marzuoli ed uve in abbondanza. ll vino vi riesce per lo più assai buono e vendesi principalmente nelle città di Torino e Vercelli. I terrazzani mantengono tanto bestiame bovino quanto è necessario a far prosperare l’agricoltura. La parrocchiale con titolo di rettoria fu dedicata a S Martino. Degno di qualche riguardo è un tempietto, che vedesi alla distanza di cento metri dall’abitato, è sotto l’invocazione di San Luigi Gonzaga … gli abitanti sono robusti, affaticanti e pacifici”. E infatti i robusti e pacifici abitanti si affaticavano per il loro signore nella costruzione del tempietto, lungo quel sentiero.
Dopo qualche decina di metri, sotto la cima della collina alla base di San Martino, dove una volta c’erano le rovine della torre del castello medievale, piegarono a sinistra per la strada principale, ripercorrendo l’anello dell’antico recinto murale.

sabato 11 maggio 2013

7. La Serafina

(Secondo movimento del concerto per Liuto. Non la migliore interpretazione in assoluto, ma la migliore su Youtube, ed eseguita con un signor Chitarrone o Liuto attiorbiato.)
Passo dopo passo, erano quasi giunti , percorrendo il viottolo in leggera salita, al colmo della sella. La donna era rientrata nella casupola ed uscita con un involto di lino; da svelta che dapprima si muoveva, prendendo la direzione perpendicolare al viottolo e al tragitto del conte, ora si era fermata, incerta, e a capo chino aveva percorso il breve tratto che la separava dai due cavalieri, fermandosi a rispettosa distanza.
“Ciarea Serafina, ven dausin, 'me qu’a và?”
La contadina aveva alzato gli occhi, ma incontrando lo sguardo del nero compagno che accompagnava il suo signore, ristette, ribassando la testa.
“Sta tranquila, l’è l’me dutur … ven … ven!”
Ma la riassicurazione diede l’effetto opposto: un’ombra di terrore si dipinse sul viso della contadina, fece un passo indietro, come per scappare.
“Frama, Fina! Ven qui. Qu’a qu’a iè?” Scattò l’ordine. Suo malgrado la contadina si avvicinò lentamente a testa bassa. E sempre a testa china parlò.
“Mè S'gnur, buon S'gnur … Çuilì l'è par chil” e gli porse l’involto, questa volta alzando il viso, con un gesto insolito per la servitù. La donna era grande vista da vicino, la testa arrivava al garrese del norico del conte. Ben più alta di un uomo, più di 6 palmi, spigolosa. Le mani che tenevano il fagotto candido erano grandi e nodose; mani di donne che lavorano nei campi, ma erano pulite, come pulito era il viso abbronzato, notò il dottore, con quel colore dorato dei biondi: attorno agli occhi piccole rughe, da donna matura, ma la pelle non era ancora rovinata. Il dottore stimò che avesse circa 30 anni: una donna ormai fatta, anzi una vedova, da quello che aveva appreso. Serafina aveva gli occhi grigi-azzurri, un po’ incavati di quelli che sanno cos’è la fame. Ed erano occhi tristi.
Il grosso involto emetteva un fruscio e crocchiò tra le grosse mani del Conte, che capì e lo portò al naso, aspirando con avidità. “Ah, Fina, bùn!”.
Voltandosi leggermente verso il dottore, il Conte aprì l’involto e dentro trovò quattro sacchetti più piccoli, cuciti con filo grosso. Tirando con l’indice la chiusura di un sacchetto comparvero foglie e fiori secchi.
“Biancuspin,S'gnur. Ne fass n'infus a la saria quan ch'al disa al rusari” All’idea di dire il rosario al conte venne da sorridere.
“Qu’a qu'al serva?”
 “Quand che la noeucc at venn 'l fiatun e la 'gitasiùn, S’gnur”.
“Ma…!” Esclamo il dottore più sorpreso dalla precisione della contadina che dall’offesa al suo mestiere, ma un taglio rapido della mano del Conte verso di lui lo mise a tacere istantaneamente.
“E 'si qui qu’a qu’a jen, Serafina?”
“Frasu, S’gnur, e qu’la pianta bianca, betùla: para la gotta. Par piela al matin quand chi suna l'campanun ad San Martin”.
“E Tillio” conoscendolo bene il conte non ebbe dubbi, e tirando fuori il sacchetto ne aspirò il profumo dei fiori seccati a perfezione dalla contadina. Un ricordo di infanzia, di prima estate, di corse con i cani nel viale di tigli della villa dov’era cresciuto, lo prese al cuore.
“Si, S’gnur Conte, par droemi ben … che la Madonna, nostra S’gnura, prutegia al sogn”. E fece un inchino, tirando la gonna e con l’altra indicando la grossa pianta di tiglio alle sue spalle, ronzante di api, di bombi e coperta di brattee gialle con i frutticini ormai secchi di luglio. Il tiglio frusciò leggermente ad un colpo di vento , come per rispondere al saluto della sua cultrice. Il tiglio era a quei tempi spesso associato al culto della Madonna e Serafina lo teneva in gran conto per le sue proprietà, il suo profumo e la meravigliosa ombra che faceva su quella sella secca ed esposta al sole.
“Serafina…”. Il conte non ringraziò e si trattenne dal farlo, perché sarebbe stato sconveniente per i rapporti tra due persone di ceti così distanti. Ma lui si sentiva il padre di quella gente e il tono del suo riconoscimento voleva che giungesse esattamente come un grazie. Così, dal panciotto trasse una piccolissima moneta che le diede ponendola sulla mano che prontamente la grande donna gli tese. E così, la donna, finalmente, sorrise: il viso si era illuminato e gli occhi erano brillanti di felicità. Pane, abiti, chissà cosa voleva dire quel piccolo tondo. Accostando le mani al corpo si fermò con i palmi raccolti sotto il viso, che manteneva fisso sul suo padrone.
Occhi troppo fermi. Troppo chiari.
Lo sguardo mise a disagio il Conte.
“Vai Serafina, e portamene altre”. Bruscamente il Conte spronò il cavallo, non sapendo più che dire e in imbarazzo per quella felicità. “Il popolo è senza senno, senza sentimento, senza memoria, piagnucoloso, ringrazia per forma, ma ti sgozzerebbe nel buio. Si getta sul denaro, si ammazza. Senza misura” Annotò mentalmente il conte “Lei no. Donna strana”. E rimuginò in silenzio, seguito dal trasecolato dottore. 

(Segue)

venerdì 10 maggio 2013

6. La mania

“Lei ha mai letto Voltaire, Monsù?” Il Conte rivolse di nuovo i suoi occhietti pungenti sul frastornato seguace di Ippocrate, con una punta di malignità. “Ateo! Anche custa!” Capitolava così, al De Polis, ogni capacità di elaborazione di un commento.
“Si, il Signor Voltaire, dicevo, dice bene che queste guerre per il diritto successorio di casa D’Asburgo e la bella sceneggiata di Carlo VII Imperatore - ce ne importasse qualcosa di Alberto di Wittelsbach, nuovo Imperatore del Sacro Romano Impero” Motteggiò il Conte piegando la testa, sollevando le sopracciglia e tirando la bocca in basso “… porta più morti in Europa che l’ultima peste, per Dio! E chissà quali danni faranno i Francesi quando decideranno di valicare le Alpi per inseguire il Carlin alla conquista della Lombardia! Cristu!”. E giù una manata sul pomolo della sella.
“Ma Signor mio … Eccellenza … Signor Conte …” pregava ormai il Medico, voltandosi per vedere se qualcuno ascoltava lo sconvenientissimo fervorino alla sovranità di ogni genere, ordine e grado.
All’improvviso il Conte mollò la preda “La mia povera terra …”: chinò il capo quasi pensando tra sé e sé, incupito, mentre con un sospiro il De Polis constatava che la tempesta andava allontanandosi rapidamente così come era arrivata. Per qualche istante i due cavalli presentarono una totale indifferenza equina al problema. Nel silenzio del cranio allora il medico computò “La Malinconia costituisce l'inizio della Mania e ne è parte integrante. Lo sviluppo della Mania rappresenta un peggioramento della Malinconia piuttosto che il passaggio ad una patologia differente… mirabile Areteo di Cappadocia, Sulle Cause ed i Sintomi delle Malattie Croniche, Libro I”. Ricordò, diagnosticò e sorrise. Aveva vinto l’incertezza. Diagnosi fatta.
“Disturbo bipolare” esclamerebbe un medico oggi.
Ma resosi conto del silenzio imbarazzante calato tra lui e il Conte – e per cambiare discorso - cercò di tornare a sondare le convinzioni chiesastiche e religiose del nobile: “San Luigi, bella idea! Una bella figura di giovane devotissimo …”
“Si Dottore. Una persona ammirabile. Studioso, aperto, generoso. Morto per avere aiutato per davvero i poveri e i malati. Mica storie. Pecà ch’al fissa in Gisuita
Tra le molte invettive del Conte questa era attesa - perché luogo assai comune nella nobiltà di campagna - e il medico sbuffò leggermente in un sorriso, che si permise in quanto leggermente indietro rispetto al suo signore e padrone.

(segue)

giovedì 9 maggio 2013

5. I villani


“Monsù, quando la guerra,  le carestie, i malanni  e i banditi devastano le campagne, sospingono i superstiti verso le città, allora si arriva al disordine totale. Monsù” Con questo chiasmo, il Conte introdusse un discorso che suonava privo di rapporto con la domanda, mormorato quasi tra sé: il Dottore infatti lo guardava interrogativo, mentre le cavalcature avanzavano a testa bassa sul viottolo.
“I contadini ridotti alla fame e privati di tutto abbracciano la carriera dei criminali e compiono furti ai personaggi più esposti: parroci, agricoltori danarosi, vedove …”. Continuò il Conte guardando ancora la capanna. “Certo Signore … certo… E’ il destino di chi corrompe la propria anima a causa delle sofferenze della vita” Commentò il medico, sempre più stupito dalla piega dei discorsi del nobile “Prima parteggia per i Gonzaga, adesso per i villani … ”: gli occhi gli si erano fatti tondi dallo stupore e la bocca era sospesa a bere le parole di spiegazione che attendeva dal suo nuovo paziente.
“Il contadino viene spogliato di quanto raccoglie dai baroni, dal clero, dai frati mendicanti, dai governatori, dalle tasse e dai tribunali, dall'avvocato e dal … e dal …” Si sospese un attimo il conte guardando di traverso il suo affranto ascoltatore “… e dal medico!” e gli buttò le parole, voltando rapidamente il viso, con un sorrisaccio e gli occhi aggrottati, come se lo incolpasse delle ingiustizie del mondo. Il medico si ritrasse sollevando le sopracciglia di stupore “Oh Signùr, che demòni!”.
La tirata del Conte è liberamente ispirata alle Descrizioni di  Giuseppe Maria Galanti
“Caro Dottore ... un panno grossolano e una camicia di canovaccio formano tutto il suo vestire! Un pezzo di pane di granoturco, una minestra di cavoli condita di sale, vino cattivo di cui fa un uso eccessivo, ecco tutto il suo pranzo! Un tugurio meschino e sordido come quello, esposto a tutti gli elementi, forma la sua abitazione!”. E preso dalla foga del discorso slanciò il braccio verso il ciabòt.
“Vive in perpetue angustie ed oppressioni! Molti sono coloro che abbandonano questa vita di inferno per darsi a furti e rapine...” si interruppe ancora il Conte che si era fatto rosso in faccia.
E continuò:
Dutùr! - e con dita strette ad anello batteva ogni singola parola - Questo inverno ho visto accoppare suo marito come una bestia, per strada, perché aveva rubato un po’ di cibo per le sue figlie” Aggiunse il Conte, con sdegno, ma sottovoce si inchinò pericolosamente dalla sua cavalcatura per farsi sentire dal medico, ancora più violetto dall’imbarazzo della situazione. Mai nella sua pacata vita aveva incontrato un nobile più originale di quel grosso Signore dalle gambe corte e dalla pancia tonda. “Per un sacco di avena che neanche un cavallo l’avrebbe mangiata. Bah!”. Ribadì con rabbia il Conte.
“Ho difeso quella donna e le sue due bambine da un processo sommario. Le ho prese con me e portate qua. Non avevano dove andare e sarebbero finite male o peggio … violate, morte. E il prevosto corso a benedire il morto non ha alzato un solo dito. Non ha detto una parola per quelle creature che guardavano il loro padre, giù a terra nella polvere. Puah! I prève! Puah!”.
“Oh Gesù Cristo, par parlé as na minera acsì a l'è un bal balangu!” Ripensò il povero De Polis, spiazzato dai discorsi completamente fuori luogo e da comportamenti “generùs, par  carità”, ma animati da una polemica fuori da ogni ordine sociale!

(segue)

martedì 7 maggio 2013

4. Il Ciabòt


“Per Giove, Signor Conte, non sapevo della sua stima per i precedenti signori del Monferrato” balbettò di sorpresa il medico di fronte alla audace dichiarazione politica. “Pueh! Baciapile” pensò il Conte, il “preteso flemmatico”. Ma si corresse, meglio non fidarsi, neanche del medico.
“Ah! Signor mio! Re Carlo con le sue ambizioni ci porterà ben più lontano dei Duchi” Si corresse con opportunità “Ha ben altra visione, ben altro spirito, ben altra volontà di emergere! e non sarà così sventato come i Gonzaga da sparire come - prima o poi - faranno tutti gli altri staterelli sotto il tallone degli stranieri!” Vaticinò, tirando una gran pacca al pomolo della sella, come se non fosse stato sufficiente il tono perentorio che aveva usato.
E – come spesso gli accadeva nei suoi repentini cambi di umore - con uno sguardo a mezzogiorno verso la chiesa parrocchiale di San Martino, pensò all’appetitosa lepre vista la mattina in una larga teglia, con carote cipolle sedano e affogata in una buta della sua grissa.
“Venga Dottore, venga, torniamo a casa” e voltò il docile Norico, acquistato da un mercante Walliser di sua conoscenza. Costui gliela aveva venduto con un banale “Buono cafallo, grante forza di tirare aratro, schöne Lasttier”. Il Walliser, che a sua volta lo aveva comprato al di là delle Alpi da ladini, era fine e sensibile come una gnocca di terra secca e non poteva sapere che - così dicendo - colpiva la fantasia del Conte, eccitata dai discorsi del Weston sulla superiorità dei cavalli nel tirare l’aratro: ma una volta provato il baio, la sua buona disposizione, la sua sufficiente nevrilità, la comodità della sua groppa sotto il suo poderoso deretano, aveva cambiato prontamente idea.
Dopo pochi metri, giunti al punto dove si dipartivano i tratturi che menavano dalla sella - attaccatura del bel seno di Gaia - ad est sotto il Rivasso, prezioso scrigno di tartufi, e ad occidente al Puss Salà - indegna fonte risorgiva torbida, spesso causa di dissenterie tra i bambini del paese … ragione che lo aveva spinto allo scavo di nuovi pozzi per la raccolta dell'acqua piovana – il Conte riguardò il viottolo slargato dal continuo passaggio degli operai in mezzo al campo d’erba medica, sperimentazione formidabile di rotazione delle colture. A sinistra del campo, una dura sella di arenaria, emersa come la schiena di un bue, biancastra, cinta a nord, dove la china andava in ombra, da menta profumata. Su quel pezzo di arenaria asciutto stava un ciabòt, una capanna di contadini migranti, coperto di paglia.
Una donna, con i capelli legati in una fazzoletto scuro, vestita di una tunica di canapa ocra, come la terra, con uno scossale - non privo di eleganza - con una foggia tonda e una fascia alta che la cingeva, mettendo in mostra una vita non ancora sfiancata dal lavoro e dai figli. Muovendosi sui piedi nudi, secchi e nervosi, stendeva su bassi alberi di bosso candide lenzuola ricamate, appena tratte da una larga caldera, con l’aiuto di una ragazzina in una tunica sdrucita. La donna, oltre a lavorare nelle vigne, faceva la lavandaia per il Conte e gli rivolse uno sguardo rapido, un sorriso e un rapido inchino della testa, con una confidenza sorprendente per una umile contadina.
“Ma chi è, Signor Conte, quella donna?” chiese il dottore, dopo un attimo di silenzio, incuriosito sia dall’atteggiamento confidenziale, sia da una ciocca di capelli biondi che sfuggivano alla cuffia.

(segue)

3. Lo spettro della guerra

Scarlatti malinconico e pensieroso per Viola d'amore.

Pensava il Conte: con una ruga di preoccupazione sulla fronte alta, al di sopra di cespugliose, irsute sopracciglia che gli davano un’aria temibile.
Proprio in quei giorni la campagna sarebbe stata bellissima se una nube di timori non si fosse continuamente agitata nella sua mente “E adesso cosa faranno i Francesi? Metteranno a ferro e fuoco la campagna depredandoci delle bestie, 2000 Tor e bucin d'la coessa, 500 cavaji, 4000 crave, 120 giornà d' tera ad vji, 800 d’tera travaiaia, 80 vasàli ad vin grignulìn, nebieu e grissa per quel … per quel … per il … re! Un re che si preoccupa solo di giochi politici pericolosi che fa sui beni di noi nobili e sulla pelle della nostra povera gente!”. Ah! Che irritazione, che fastidiosa nube di discontinuità sul suo lavoro! Non paura, non angoscia, come proveremmo noi, che di guerre non ne abbiamo mai viste. Al contrario, il Conte, afferrava l’elsa della spada e la stringeva, agitandola, sbattendola contro il fianco del cavallo, tirandola fuori e infilandola dentro in un nervosismo pugnace e con sguardo corrusco.
Ma gli occhi del conte si alzarono con amore verso Monte Castello, colle ornato di vigne, di noccioli, e nelle rive a nord di cerri tartufigeni - per il naso capiente ed esperto d’aromi del loro padrone - e di profumatissime gaggie americane spinose. Il colle era come una gran tetta della terra tonda e ben proporzionata, eretta verso il cielo, segno di bellezza e di ricchezza di quella plaga del Monferrato nominata Corteranzo, già antico castello e allora villa patrizia, contea.
Alla attaccatura del gran seno, come un gioiello che un tempo aveva ornato la deliziosa poitrine di una damina di 17 anni, Mariéta - conosciuta e sposata 30 anni prima e compianta da 5 - il Conte aveva voluto la cappellina, non voto per il recupero della salute, ma come ringraziamento per avere rivisto il contino tornare dalla campagna di guerra con un solo sfregio nel braccio e un mascolino graffio nel viso, frutto della stessa spada, parata con efficacia in un duello con un gran cavalieraccio tedesco così ubriaco, bianco e porpora da assomigliare ad un gran formaggio di vacca affinato nella vinaccia.
“Capisce Signor De Polis? Non è per me, che ho 53 anni e ho già cavalcato tanto, se non troppo. Non è per me, mi creda, la cappellina. Non si dona per chiedere a Dio, si dona per ringraziarlo della sua infinita bontà”.
“Oh, Signor Conte” rispose il nero dottore, agitando il fazzoletto usato per detergersi dal sudore della fronte e allontanare un tafano testardo “non me ne voglia, non me ne voglia, mi perdoni se ho usato parole che volevano solo compiacerla …”
“Monsù De Polis … Signor De Polis, non si faccia dei problemi, l’ho capito” Lo interruppe il conte con un sorriso sotto i baffi incerati a ricciolo – il medico con il suo impacciato tentativo di piacergli lo rallegrava – “sono un umile gentiluomo di campagna, ma conosco il genere umano e distinguo le intenzioni delle persone!”.
“Oh, la ringrazio, Sua Grazia, la ringrazio della sua bontà …e - emh emh - a chi la vorrà dedicare?” “A San Luigi, monsù De Polis, A San Luigi Gonzaga” e un pensiero di affetto andò all’antico casato dei Gonzaga che aveva rafforzato la sua famiglia su quella terra. “Eh! I Gonzaga, non erano solo santi: ma gente pratica, allevatori di cavalli, gente con i piedi per terra, imitatori di nessuno, protettori della arti, costruttori di Casale … gente coraggiosa, se non fosse per quel piciu di Ferdinando Carlo!”, come usava dire dell'ultimo Duca di Mantova e del Monferrato, più appassionato di cavalli e di donne che di reggere i suoi potentati.
(segue)

domenica 5 maggio 2013

2. Il Conte



Pensava, il Conte. Pensava forte e con ingegno sano e pratico: leggeva testi di agronomia. Giovanni Battista Croce "Della eccellenza e diversità dei vini che nella Montagna di Torino si fanno e del modo di farli", ma soprattutto gli inglesi, come Sir Richard Weston “A discourse of husbandrie used in Brabant and Flanders” che gli rivelava i segreti della rotazione delle colture, il metodo Portland, gli aratri di ferro. E naturalmente Columella e Jean Liebault, suo umanistico commentatore e il suo contemporaneo Abate Montelatici, fondatore della Accademia dei Georgofili. “Ah, verrà un giorno che la terra darà ricchezza e renderà come un banco di cambio” Si fregava le mani, goduto … perché guardava con indubbio interesse al reddito della sua terra, ma si inteneriva a vedere seminare, si inorgogliva a vedere come il trifoglio ingrassava il terreno a beneficio del frumento, si commuoveva di fronte al viola color del lino che cresceva ricco a fondo valle con la canapa. Il lino - “linum u-si-ta-tissimum!”, ne scandiva il nome fonte della sua ricchezza - si inchinava sotto il vento di maggio a fondo della valle Cerrina, ad entrambi i lati dello Stura, disegnando onde di un mare liliaceo. Coltura per la produzione di fibre tessili: vendeva a Torino il lino e a Genova la canapa, per le sartie e le vele dei vascelli.
E gran parte di quella ricchezza il Conte impegnava, profondeva con entusiasmo nella realizzazione di nuove vigne. Non vite maritata al gelso, mirabile simbiosi, ma vite avvinghiata a pali e pergole, con infinto lavoro di pazienza da lui stesso inventato, con pali di castagno.
E spendeva in libri: aveva appena ricevuto dopo molti mesi una copia preziosissima della “Metamorphosis insectorum Surinamensium” di Maria Sybilla Merian, che studiava per ore, seguendo con il grosso dito i dettagli infinitesimi dei fiori e degli insetti. “Cosa è mai la natura”, mormorava tra sé pensando alle Americhe lontane.
Ma tutto il suo pensiero era dedicato a come fare crescere il contado “Il lume della ragione dovrà ben  inondare questa terra benedetta del Monferrato”, mentre Re Carlo Emanuele rischiava l’osso del collo del regno di Sardegna sotto la minaccia dei francesi, per compiacere all’imperatrice Maria Teresa in un rischioso gioco di equilibrio tra le grandi potenze.
Accadeva proprio in quei lunghi giorni di inizio luglio, in quei giorni asciutti, dal cielo limpido, solcato da nubi sottili, con tramonti struggenti verso il Monviso, grande piramide d’occidente, stagliata contro l’occaso rosso e viola e arancione. 
(segue)

Fondazione della casa - 1. Il nuovo medico curante

Correva l'anno 1742 e lungo la via  si allineavano i cantieri delle case contadine progettate a seguito della costruzione della preziosa cappellina di San Luigi da parte del grande architetto Bernardo Antonio Vittone.
Purtroppo, proprio in quell'anno moriva Vivaldi e Goldoni dopo aver scritto la Donna di Garbo, fuggiva da Venezia rincorso dai debiti.
Che atmosfera c'era a Corteranzo? E in Piemonte, in una Italia divisa in staterelli vittime dei grandi regni europei?

Mi sono immaginato qualcosa.

Quello che scriverò non ha nessun fondamento storico, e ogni riferimento alla famiglia Giunipero è solo una occasione narrativa: il "Conte", per come l'ho descritto, non è mai esistito. Ma avrebbe potuto.
E ringraziamo questa famiglia per i doni che - nei secoli - ha fatto al territorio.
Ogni altro riferimento a persone e cose presenti e passate è puramente casuale. Ma potrebbe esserci.
Lanciate il concerto per Mandolino e fatevi un'idea.


“Linfatico”, pensò il Signor De Polis, il neo nominato medico curante del Conte. “ E per di più nato di giugno, del Cancro: avvinghiante, possessivo, timoroso per il futuro … e che visu caratteristico!”
Il conte si alzò sulle staffe per guardare meglio gli operai sollevare le travi per la costruzione della lanterna della cappella votiva: il conte aveva un viso quadrato, incorniciato da un ampio cappello estivo di paglia a tesa larga, adornato da lunghe piume di pavone. La pappagorgia si adagiava sul colletto ampio e ricamato, ormai bagnato di sudore nella giornata di luglio.
“Fa tansiùn qu’a man custa 'me tuta la campagna, fieu d’un aso!”, urlò con malagrazia al capomastro e alla sua squadra.
“Scheletro solido, buona dentizione, mani quadrate con dita corte e massicce” continuava a ripensare nella sua diagnosi il De Polis – “Il soggetto è molto alto, ma gli arti sono corti”.
In effetti il Conte-  largo di spalle, ma profondo di pancia … di una pancia tonda e ubertosa, prova di un appetito raffinato e non saziabile con la polenta dei suoi contadini  - aveva le gambe un po’ corte rispetto al busto, ma aveva di molto modificato l’altitudine della sua visuale: ritto a un metro e ottantacinque sulle staffe del suo gigantesco cavallo Norico, più adatto a lavorare nei campi che a portare un nobile, aveva provocato un sospiro della umile, ma scultorea bestia, sotto i suoi 120 chili.
“Dunque Signor Conte, complimenti per la sua devozione: Dio le renderà merito e … tutti i suoi pari le riconosceranno un gesto di grande merito per la Chiesa e per l’onore delle colline del nostro Re Carlo Emanuele terzo di Savoia!”.
“Aaah, Carlìn … Qu’a'l signur at cunserva la vista” masticò tra i denti il Conte ancora in dialetto, poi - rivolgendosi al medico nerovestito – aggiunse con solennità ed orgoglio “Signor De Polis … lei deve sapere che ho scelto anche il giovane architetto del re, il Vittone, per compiacere alle preferenze e ai consigli di sua Maestà” “Ma al Signur sa vare qu’a la custà a mi”, commento tra sé, tornando al dialetto, che rendeva meglio quando si trattava di parlar di soldi.
“Oh certo! E il Signore le riconoscerà senz’altro maggiore salute per il suo dono” aggiunse il dottore, provocando un convulso gesto apotropaico del nobile. Questa volta il medico ebbe la netta sensazione di avere fatto una frittata diplomatica con il suo datore di lavoro e – terrorizzato – si chiese perché, ripetendosi le parole appena dette.
Il Conte colse l’occasione per aggiustarsi il cavallo dei pantaloni,  si arricciò i baffi, squadrò l’imbarazzato compagno e poi scandì: “Ah! Signor De Polis!” con sospensione, stringendo gli occhi. Poi proseguì “Lei deve sapere – e lo tenga ben presente - che non ho nessuna intenzione di farmi fare salassi, che mi fanno schifo le sanguisughe. Ma ho sempre il ventre gonfio e spesso forti dolori attraverso l’inguine durante la notte. Mi sveglio di frequente per orinare, con licenza parlando”. Vista l’improvvisa apertura anamnestica, il dottore si rilassò un poco.
“Oh, Signor Conte non si faccia scrupoli a dirmi le cose come stanno, è fondamentale per una corretta diagnosi.”
E non potè fare a meno di annotare mentalmente “Il soggetto presenta la predisposizione a patologie dell’apparato digerente in quanto tende ad abusare del suddetto organo, ed è quindi predisposto ad ingrassare. E sicuramente soffrirà di gotta”.
“Sì. E poi sempre più soffro alla gamba destra, come se mille spilli me la penetrassero …  dopo una giornata in sella non sono quasi più in grado di camminare … lei deve fare qualcosa. Quel vecchio rimbambito di monsignor Battia con Galeno, Senocrate di Afrodisia, Abascanto e Mnemone mi ha fatto … mi ha fatto …”
Il Conte si era interrotto da rincorrersi di “Bon!” - “Boon!” - “Booon!” all’indirizzo del nariciuto e gozzuto conduttore di buoi, che con un sistema di carrucole e un paranco sollevavano un trave di pioppo fresco del diametro maggiore di almeno due spanne.
Du bàli!” scattò roggendo il Conte all’indirizzo degli operai “… Ma Cristu! … Ste atènt” mentre calcinacci e mattoni crudi cadevano dal colmo del timpano della bella chiesetta, ma nessuno si era fatto del male.
“Per Giove! Ma il temperamento è in vero sanguigno” trasecolò il dottore.
Con questo, si interruppe il colloquio diagnostico del Signor De Polis con il supposito flemmatico Conte di Corteranzo nel luglio del 1742.

(segue) 

Libreria - arredamento completato

Infine, dopo lungo cercare e confrontare dal razionalismo autarchico dell'Ikea, all'edonismo estetico e caro di Maison du Monde, per passare per l'eleganza shabby del Tempo abitato ... abbiamo trovato la soluzione in Arte casa di Casale, che con una cifra del tutto abbordabile e supercompetitiva ci ha fatto prendere due - ben due - librerie, per uno sviluppo di quasi 3,5 metri lineari, con colori e patine scelte da noi!
Nel salottino verde - o delle penniche - abbiamo scelto una libreria grande, dello stesso colore delle porte, dove abbiamo predisposto anche la possibilità di inserire un televisore,  quando mai ce ne verrà voglia.
L'ambientino ci ha guadagnato in calore: ecco l'Alina che si scatena a fotografare con l'iPhone per postare su faccialibro. Io invece ci ho guadagnato un posto di lusso dove mettere: la Treccani vintage che mi ha regalato Liliana, la mia prima enciclopedia che mi hanno regalato i miei genitori (una enorme Universale De Agostini),  la raccolta completa delle opera di Montale, sacrificio sempre di Liliana e i miei più amati libri di studio: Entomologia, Botanica, Agronomia generale e Agronomia Speciale.  .
In mezzo un quadro preso da "Di mano in mano", una natura morta fatta con una tecnica mista tempera e pastello a cera, molto molto bello, un po' Morandiano.  
Invece in camera da letto abbiamo messo una libreria più piccola e semplice, anche perchè c'è la stufa che pretende almeno 60 cm di rispetto, per il calore che caccia.
Anche lei si integra bene nell'ambiente un po' nordico della camera da letto.
E l'angolino di lettura dell'Ale è bello e  finito.
Insomma, un bel posto dove vivere. Sempre pronti ad un vino vecchio e ad un nuovo libro.
Spazio per i libri ce n'è: adesso devo decidere come dividerli tra Milano e Corteranzo.

Rosae, rosarum, rosis ...

Le roselline del Luigi Francia, fanno ormai bella vista sulla facciata della casa che si asciuga da un lungo inverno e un lunghissima primavera piovosa. Il caldo della parete ne favorisce lo sviluppo e le vasche, anche se non sono molto ben drenate, fanno il loro dovere.
In realtà  sono una convivenza tra una rosa canina rossa e crema e una clematide dai grandi fiori viola.
Non si sa perchè, ma la pianta di sinistra svetta di più,
Mentre quella di destra si è allargata fin dalla base: penso che ci sia una differenza di micro-micro clima-
 In effetti quella di destra è piena di boccioli ...
 E la Clematide sta già fiorendo a pieno ritmo, con inquietanti, enormi, bellissimi fiori viola.
La Clematis Vitalba è persino buona da mangiare, ma questa è uno spasso, con fiori larghi 10 cm, resistentissimi (il primo fiore in basso è fiorito da tre settimane e non è ancora appassito).
Charles R. Darwin, nel suo libro "On the Movements and Habits of Climbing Plants" (1875) era rimasto affascinato di come la Clematide si arrampica e la ragione è semplice: esiste una evoluzione intraspecifica del "modo" di arrampicarsi. Ogni clematide ha trovato il suo. La mia usa  proprio le foglie più piccole che - come piccole manine - si arrotolano attorno al supporto del fusto e dei rametti della rosa per conquistarsi un vero e proprio posto al sole. E' troppo simpatica, anche se assomiglia alla pianta carnivora della "piccola bottega degli orrori".

Ne sarebbe stata però felice la vecchia Maria Sybilla Merian, grandissima pittrice di natura, prima reporter della moderna botanica.
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