Pensava, il Conte. Pensava forte e con ingegno sano e
pratico: leggeva testi di agronomia. Giovanni Battista Croce "Della eccellenza e diversità dei vini
che nella Montagna di Torino si fanno e del modo di farli", ma
soprattutto gli inglesi, come Sir Richard Weston “A discourse of husbandrie used in Brabant and Flanders” che gli
rivelava i segreti della rotazione delle colture, il metodo Portland, gli
aratri di ferro. E naturalmente Columella e Jean Liebault, suo umanistico
commentatore e il suo contemporaneo Abate Montelatici, fondatore della
Accademia dei Georgofili. “Ah, verrà un
giorno che la terra darà ricchezza e renderà come un banco di cambio” Si
fregava le mani, goduto … perché guardava con indubbio interesse al reddito
della sua terra, ma si inteneriva a vedere seminare, si inorgogliva a vedere
come il trifoglio ingrassava il terreno a beneficio del frumento, si commuoveva
di fronte al viola color del lino che cresceva ricco a fondo valle con la
canapa. Il lino - “linum
u-si-ta-tissimum!”, ne scandiva il nome fonte della sua ricchezza - si
inchinava sotto il vento di maggio a fondo della valle Cerrina, ad entrambi i
lati dello Stura, disegnando onde di un mare liliaceo. Coltura per la
produzione di fibre tessili: vendeva a Torino il lino e a Genova la canapa, per
le sartie e le vele dei vascelli.
E gran parte di quella ricchezza il Conte impegnava,
profondeva con entusiasmo nella realizzazione di nuove vigne. Non vite maritata
al gelso, mirabile simbiosi, ma vite avvinghiata a pali e pergole, con infinto
lavoro di pazienza da lui stesso inventato, con pali di castagno.
E spendeva in libri: aveva appena ricevuto dopo molti mesi
una copia preziosissima della “Metamorphosis
insectorum Surinamensium” di Maria Sybilla Merian, che studiava per ore,
seguendo con il grosso dito i dettagli infinitesimi dei fiori e degli insetti. “Cosa è mai la natura”, mormorava tra sé
pensando alle Americhe lontane.
Ma tutto il suo pensiero era dedicato a come fare crescere
il contado “Il lume della ragione dovrà ben inondare questa terra benedetta del
Monferrato”, mentre Re Carlo Emanuele rischiava l’osso del collo del regno
di Sardegna sotto la minaccia dei francesi, per compiacere all’imperatrice
Maria Teresa in un rischioso gioco di equilibrio tra le grandi potenze.
Accadeva proprio in quei lunghi giorni di inizio
luglio, in quei giorni asciutti, dal cielo limpido, solcato da nubi sottili,
con tramonti struggenti verso il Monviso, grande piramide d’occidente,
stagliata contro l’occaso rosso e viola e arancione.
(segue)
Nessun commento:
Posta un commento
Puoi commentare, se vuoi