“Monsù, quando la guerra, le carestie, i malanni e i banditi devastano le campagne, sospingono i superstiti verso le città, allora si
arriva al disordine totale. Monsù” Con questo chiasmo, il Conte introdusse un
discorso che suonava privo di rapporto con la domanda, mormorato quasi tra sé: il
Dottore infatti lo guardava interrogativo, mentre le cavalcature avanzavano a
testa bassa sul viottolo.
“I contadini ridotti alla fame e privati di tutto
abbracciano la carriera dei criminali e compiono furti ai personaggi più
esposti: parroci, agricoltori danarosi, vedove …”. Continuò il Conte guardando
ancora la capanna. “Certo Signore … certo… E’ il destino di chi corrompe la
propria anima a causa delle sofferenze della vita” Commentò il medico, sempre
più stupito dalla piega dei discorsi del nobile “Prima parteggia per i Gonzaga, adesso per i villani … ”: gli occhi gli si erano
fatti tondi dallo stupore e la bocca era sospesa a bere le parole di
spiegazione che attendeva dal suo nuovo paziente.
“Il contadino viene spogliato di quanto raccoglie dai
baroni, dal clero, dai frati mendicanti, dai governatori, dalle tasse e dai
tribunali, dall'avvocato e dal … e dal …” Si sospese un attimo il conte
guardando di traverso il suo affranto ascoltatore “… e dal medico!” e gli buttò
le parole, voltando rapidamente il viso, con un sorrisaccio e gli occhi
aggrottati, come se lo incolpasse delle ingiustizie del mondo. Il medico si
ritrasse sollevando le sopracciglia di stupore “Oh Signùr, che demòni!”.
“Caro Dottore ... un panno grossolano e una camicia di
canovaccio formano tutto il suo vestire! Un pezzo di pane di granoturco, una
minestra di cavoli condita di sale, vino cattivo di cui fa un uso eccessivo,
ecco tutto il suo pranzo! Un tugurio meschino e sordido come quello, esposto a
tutti gli elementi, forma la sua abitazione!”. E preso dalla foga del discorso slanciò
il braccio verso il ciabòt.
La tirata del Conte è liberamente ispirata alle Descrizioni di Giuseppe Maria Galanti |
“Vive in perpetue angustie ed oppressioni! Molti sono coloro
che abbandonano questa vita di inferno per darsi a furti e rapine...” si interruppe
ancora il Conte che si era fatto rosso in faccia.
E continuò:
E continuò:
“Dutùr! - e con dita strette ad anello batteva ogni singola parola - Questo
inverno ho visto accoppare suo marito come una bestia, per strada, perché aveva
rubato un po’ di cibo per le sue figlie” Aggiunse il Conte, con sdegno, ma
sottovoce si inchinò pericolosamente dalla sua cavalcatura per farsi sentire
dal medico, ancora più violetto dall’imbarazzo della situazione. Mai nella sua
pacata vita aveva incontrato un nobile più originale di quel grosso Signore
dalle gambe corte e dalla pancia tonda. “Per un sacco di avena che neanche un
cavallo l’avrebbe mangiata. Bah!”. Ribadì con rabbia il Conte.
“Ho difeso quella donna e le sue due bambine da un processo
sommario. Le ho prese con me e portate qua. Non avevano dove andare e sarebbero
finite male o peggio … violate, morte. E il prevosto corso a benedire il morto
non ha alzato un solo dito. Non ha detto una parola per quelle creature che
guardavano il loro padre, giù a terra nella polvere. Puah! I prève! Puah!”.
“Oh Gesù Cristo, par
parlé as na
minera acsì a l'è un bal balangu!” Ripensò il
povero De Polis, spiazzato dai discorsi completamente fuori luogo
e da comportamenti “generùs, par
carità”, ma animati da una polemica fuori da ogni ordine
sociale!
(segue)
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